[Vincenzo Andraous 05.08.04] Sono stato invitato a un convegno all’Università. Il tema da dibattere “Criminalità minorile”, consapevole di non avere nulla da insegnare a nessuno, tanto meno di possedere risposte per le problematiche dibattute, soltanto il carico della mia esperienza, intesa come somma dei miei tanti errori...

NELLA FRAZIONE DI UNO SPARO

Sono stato invitato a un convegno all’Università. Il tema da dibattere “Criminalità minorile”, consapevole di non avere nulla da insegnare a nessuno, tanto meno di possedere risposte per le problematiche dibattute, soltanto il carico della mia esperienza, intesa come somma dei miei tanti errori.

Da adolescente difficile, a giovane trasgressivo, e quando non si possiede capacità di subordinare qualche passione a qualche regola, ciò trascina spesso nella devianza, nell’entrata in un Istituto per minori, dove spesso ci si professionalizza negli atteggiamenti criminogeni.

Palese il punto di contatto tra passato e presente, se sono assenti i modelli di riferimento certi, perché autorevoli, e dunque accreditati di autorità acquisita sul campo, non rimane che l’incontro consapevole con i vicoli ciechi, e l’impatto inconsapevole con la violenza della strada e il suo corollario di falsi miti.

La differenza in questo presente sta nel disagio che non colpisce più solo i giovani delle classi meno abbienti, ma anche quelli che provengono da famiglie agiate, dove spesso benestante sta per una condizione di benessere finanziario raggiunto, e non per un raggiungimento di valori introiettati e portati avanti.

I guerrieri in erba della mia generazione stavano insieme, in gruppo, formavano una banda di minorenni, perché avevano come nemico da combattere, il mondo degli adulti, dei cosiddetti grandi, che vedevamo intruppati e in fila per tre (come plotoni di esecuzione) nelle loro belle e comode certezze, oggi invece ci si mette insieme, in gruppo, in babygang, per competere e scontrarsi con il gruppo dei pari, per una griffe, per un telefonino, per una banconota da 50 euro, rispetto alla propria da 10 euro.
Così il destino disegna la propria trama, l’inciampo è lì dietro l’angolo, e gridare: “ehi regista, sono stanco, fammi uscire dalla storia”, non è possibile, come non è facile risalire dal baratro in cui si è caduti.

Io non so se occorre rivedere o addirittura ribaltare il metodo o l’indagine educativa, credo però che nei riguardi dei giovanissimi, occorra ritornare a dire e a dare dei no, rispetto ai tanti sì elargiti a piene mani, occorre sul serio farsi carico della difficoltà e della fatica dei no, perché costringe l’adulto a fornire spiegazioni comprensibili, lo obbliga a una comunicazione sensibile, perché empatica e non certamente perché sbilanciata sull’accudente.

Mi viene in mente una pedagogia della speranza e una pedagogia del servire, nel tentativo di “forgiare giovani nuovi, senza più bisogno di nascondersi in comodi rifugi o facili scorciatoie” che è peculiare della Comunità Casa del Giovane, e che Don Franco Tassone porta avanti con forza e coraggio.

Quanto da me detto non eleverà il grado di civiltà necessario per migliorare lo stato delle cose, ma forse costringerà noi adulti a non accampare più ulteriori giustificazioni per le cadute e le tragedie dei nostri figli.
 
Vincenzo Andraous
Responsabile Centro Servizi Interni
Comunità Casa del Giovane – Pavia