Opinione pubblica e silenzi stampa
(continua) Articolato e molto importante è il rapporto tra guerra e opinione pubblica, dove i ruoli determinanti sono ricoperti dal potere politico-militare e dai mezzi di comunicazione. L’influenza dell’opinione pubblica sugli ambienti decisionali non ha mai fatto cessare o nascere un conflitto; tuttavia sono molti i riscontri in chiave “pacifista” che sono seguiti dopo forti pressioni e mobilitazioni di genti e associazioni, grazie alle quali sono riusciti ad influenzare le scelte politiche. In questo processo di mobilitazione dell’opinione pubblica, i mass-media possono essere considerati il propellente che fa muovere la società civile. La prima guerra raccontata dai media in maniera nuova e significativa è stata quella del Vietnam: per molti studiosi quel conflitto essa ha segnato un cambiamento di rotta nella storia della politica estera e dei mezzi di informazione; evento bellico giunto al termine anche grazie all’accesa protesta scoppiata negli Stati Uniti, alimentata dalle strazianti immagini diffuse dalla televisione in tutte le case. Il potere politico statunitense ha da quella “lezione” imparato molte cose: ora, infatti, i conflitti, anche quelli noti, vengono combattuti tenendo lontani i mezzi d’informazione che contano e le notizie che arrivano sono filtrate dagli apparati politico-militari. Solo negli ultimi anni, grazie alle nuove tecnologie di trasmissione satellitare e Internet, è comparsa una rete editoriale indipendente dai grandi network e dalle Agenzie di Stampa, che di fatto si pone il più delle volte come “spina nel fianco” delle potenti agenzie informative internazionali.
«Conflitti dimenticati»: l’indagine della Caritas Italiana
Nel nostro Paese i più eminenti organi di informazione parlano solo di alcune guerre: Afghanistan, Medio Oriente, Iraq e, fino a poco tempo fa, anche Kosovo; tutte le altre guerre, invece, finiscono nella penombra dell’informazione. A questa conclusione è giunta la Caritas Italiana, la quale per due anni e mezzo (dall’1 settembre 1999 al 30 giugno 2001) ha condotto un’indagine per capire se e quanto i focolai di guerra che imperversano nel mondo sono ignorati. A tal fine a concentrato la propria attenzione demoscopia su sette conflitti (tra cui la crisi mediorientale e kosovara), cinque dei quali “dimenticati”: Sierra Leone, Angola, Guinea-Bissau, Colombia e Sri Lanka. Una ricerca incentrata sul monitoraggio dei quattro quotidiani nazionali più letti (Corriere della Sera, Repubblica, La Stampa e Avvenire), di otto canali televisivi nazionali (pubblici e privati) e delle tredici emittenti radiofoniche più seguite nel Paese. Oltre a ciò è stato commissionato dai ricercatori un sondaggio teso a verificare il livello di conoscenza e l’opinione della gente sui conflitti, un’analisi quantitativa dei lanci di quattro agenzie giornalistiche italiane (Misna, Ansa, Adn-Kronos e Agi) e dei portali Internet più importanti (Lycos.it e Google.com, in particolare).
Tabella 1 – Riporto nella tabella alcuni dati che ho raccolto da varie fonti (www.warnews.it ; www.misna.org; mensile Nigrizia; «I conflitti dimenticati – Ed. Feltrinelli) relativi alle guerre meno conosciute (o dimenticate); tali dati non contemplano il conflitto tra Israele e Palestina, la crisi irachena e quella afgana, di cui i mass-media si occupano con sufficiente puntualità. La tabella riporta il tipo di conflitto attualmente esistente (G = guerra; G-PP = situazione intermedia tra lo stato di guerra ed l’avvio di un Processo di Pace; PP = Processo di Pace avviato, anche se in molti casi persistono azioni di conflitto con vittime), il Paese considerato, l’anno in cui risale l’avvio più significativo del conflitto, il numero delle vittime stimate e/o accertate. Infine la percentuale degli intervistati nel corso dell’indagine redatta dalla Caritas Italiana che sono a conoscenza delle guerre dimenticate in alcuni dei Paesi presi in considerazione dalla ricerca stessa, ovvero che hanno risposto alla seguente domanda: «Quali sono i conflitti armati degli ultimi cinque anni, conclusi o ancora da concludersi, che lei ricorda, a parte la guerra in Afghanistan?» .
Tipo |
Stato |
Inizio della guerra |
Vittime |
Conoscenza del conflitto |
G | Costa d’Avorio | 2002 | Centinaia ÷ Migliaia | |
G | Burundi | 1996 | 300.000 | 1 % |
G | Rep. Dem. Congo | 1997 | 2,5 ÷ 3 milioni | 0,5 % |
G | Sri Lanka | 1984 | 64.000 ÷ 80.000 | 0,5 % |
G | Cecenia | 1991 | + 100.000 | |
G | Uganda | Fine anni ‘80 | + 10.000 | |
G | Colombia * | 1964 | + 1000 all’anno | |
G | Kashmir | 1948 | + 70.000 | |
G | Liberia | 1989 | + 250.000 | |
G | Sudan | 1983 | + 2.000.000 | |
G | Algeria | 1992 | + 100.000 | |
G | Filippine | 1978 | + 150.000 | |
G | Somalia | 1991 | + 500.000 | 11 % |
G-PP |
Rwanda |
1994 | + 1 milione | 4 % |
G-PP | Etiopia – Eritrea | 1998 | 40.000 ÷ 100.000 | 2 % |
G-PP | Angola | 1975 | 500.000 ÷ 1 milione | 1 % |
G-PP | India | 1980 | 6.000 ÷ 10.000 | |
G-PP | Molucche | 1999 | + 5.000 | |
G-PP | Nigeria | 1999 | + 2.000 | |
G-PP | Senegal | 1982 | + 1.200 | |
G-PP | Indonesia (Aceh) | 1977 | 10.000 ÷ 12.000 | 0,5 % |
G-PP | Nepal | 1996 | + 7000 | |
G-PP | Sierra Leone | 1991 | + 100.000 | |
PP | Kurdistan | 1961 | + 100.000 | |
PP | Congo Brazzaville | 1992 | Migliaia | |
PP | Repubblica Centrafricana | 2002 | Centinaia | |
PP | Birmania | 1988 | + 3000 | |
PP | Irlanda del Nord | Dal 1969 | + 3300 | |
PP | Papuasia Occidentale | 1977 | Centinaia | |
PP | Guinea Bissau | 1998 | Centinaia | 0,5 % |
I media italiani in questi ultimi anni hanno puntato tutta la loro attenzione solo su alcune crisi internazionali (infatti il 18% degli intervistati ricordano il conflitto tra Israele e Palestina, un altro 18 % quello nei Balcani – Ex Jugoslavia, il 17 % la guerra in Bosnia, il 16% in Kosovo ed il 40% degli intervistati ha memoria solo di conflitti lontani nel tempo (e quindi non rilevabili dall’indagine), mentre il 26% non ha risposto al quesito), ignorando completamente le altre. L’indagine della Caritas ha fatto emergere anche altri aspetti importanti come, ad esempio, che la poca conoscenza dei conflitti non è proporzionata ad uno scarso interesse dell’opinione pubblica. Infatti alla domanda «quanto siete interessati ad avere più informazioni riguardo ai conflitti in corso?» il 33% ha risposto che vorrebbe essere molto informata, il 38% abbastanza, il 21% poco e soltanto il 7% si è dimostrato completamente non interessato. Riesce quindi difficile capire, stando ai suddetti dati, come mai i mezzi d’informazione siano così lontani dalla gente, perché le scelte dei media siano così diverse dagli interessi delle persone, le quali manifestano sempre più l’esigenza di trovare in tv o nei giornali non solo il fatto accaduto, ma anche degli strumenti che permettano loro di farsi una opinione, senza filtri interpretativi che possano distorcere e influenzare le notizie. L’opinione pubblica italiana è in contatto ogni giorno con il sistema informativo, ma gli avvenimenti che succedono a migliaia di chilometri da dove viviamo possono essere raccontati quasi sempre solo dai grandi organi di informazione, siano essi Agenzie di Stampa o network. Una sottolineatura, tuttavia, è doverosa: l’aver ignorato (o quasi) una guerra che ci era vicina, come quella che ha afflitto l’ex Jugoslavia per anni, è una responsabilità che ricade sia su chi doveva produrre informazione, sia sull’opinione pubblica che raramente si è fatta sentire per far cessare quella guerra; di converso non deve sorprendere che il cittadino medio si senta quasi “sopraffatto” dalla complessità e dalla contraddittorietà che caratterizza molti dei moderni conflitti, e preferisca rimuovere il problema con una scelta di razionalizzazione psicologica e al contempo di semplificazione della realtà. Detto ciò, però, la scarsa conoscenza che le persone hanno dei conflitti in corso nel mondo è attribuibile a delle manchevolezze da parte del sistema d’informazione, accompagnato da un disinteresse che riguarda anche le istituzioni politiche italiane. Nel corso del periodo di monitoraggio della Caritas, infatti, non è mai stata rinvenuta alcuna notizia relativa alle suddette guerre dimenticate che provenisse da fonti istituzionali italiane. Questa completa latitanza governativa nell’informare sulle guerre in corso è quasi inspiegabile, visto che in due terzi degli stati dove si combatte il governo italiano è presente con propri uffici e ambasciate. Le crisi internazionali dove il governo italiano è intervenuto sono proprio le stesse che sono state seguite dai mezzi d’informazione. È difficile capire, dati alla mano, da dove parte questa spirale di silenzio: sicuramente a destare l’interesse non sono certo i (drammatici) numeri delle vittime degli scontri, ma evidentemente altre coordinate.
Dimenticanze?
Se è comprensibile che i tam tam di guerra che da mesi risuonano siano ancora giustamente focalizzati sugli avvenimenti iracheni e mediorientali, meno comprensibile è il silenzio stampa che nei mesi scorsi ha accomunato i tre quotidiani di maggiore tiratura nazionale relativamente agli spiragli di pace che si stavano delineando in alcune zone del pianeta. Ho voluto infatti andare ad analizzare quanto riportato nel mese di dicembre del 2002 dal Corriere della Sera, La Stampa e La Repubblica sul versante delle “cronache di guerra”, scoprendo che a parte l’evoluzione diplomatica delle due suddette crisi, le testate opinion leader si sono dimenticate di raccontare i passi in avanti verso la fine di tre guerre: Repubblica Democratica del Congo, Burundi e Indonesia (Aceh), anche se –ad oggi- sembra che solo questo ultimo conflitto abbia imboccato un percorso di pace in discesa. A parte ciò, nessuno dei tre quotidiani ha riportato la notizia del raggiungimento di accordi di pace siglati rispettivamente il 3 (Burundi), 9 (Indonesia) e 17 (R.D. Congo) dicembre 2002.
Pochissima attenzione è stata riservata inoltre ad altri annosi conflitti in cui si stava scrivendo, seppur tra mille difficoltà, la parola “fine” qualche mese prima: Sierra Leone (gennaio 2002) ed Angola (aprile 2002), anche se dovrà passare diverso tempo per far tacere definitivamente le armi. In tutti questi conflitti in fase di risoluzione un ruolo importante per il raggiungimento della pace è stato svolto dalle pressioni di alcuni stati influenti e dell’Onu: infatti in Sierra Leone la Gran Bretagna (ex potenza coloniale) ha impiegato milleduecento soldati, l’Onu diciassettemila caschi blu; anche in altri conflitti la pressione straniera ha reso possibile il dialogo tra i governi o le fazioni in lotta, approdando a tavoli di trattativa. L’influenza degli ex colonizzatori e il rischio di subire sanzioni internazionali portano i conflitti verso soluzioni talvolta insperate, anche laddove i mezzi di comunicazione comunque sono assenti, e quindi minori le possibili strumentalizzazioni di natura politica. Sta di fatto che sono molti i segnali che conducono a pensare che nelle redazioni, anche dei grandi network, il silenzio è spesso figlio della pigrizia di chi sarebbe tenuto a raccontare; del resto scrivere perché in Angola dopo quasi quaranta anni non si combatte più è un po’ complicato, visto che il lettore non sapeva nemmeno che la guerra fosse iniziata. (Continua/2)
Fonti: Bibliografia: AA.VV. – Caritas Italiana : «I conflitti dimenticati» – (Feltrinelli, 2003); Alberto Papuzzi: «Professione giornalista» – (Donzelli, 2002); Carlo Gubitosa: «L’informazione alternativa» – (EMI, 2002); Mimmo Candito: «I reporter di guerra» – (Baldini e C., 2002); Reporters Sans Frontieres: «I media dell’odio» – (Ed. Gruppo Abele, 1998). Consultazione di vari quotidiani e riviste: Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa; «Nigrizia» di gennaio, febbraio e marzo 2003. Siti Internet www.misna.org (Agenzia giornalistica); www.warnews.it , sito che diffonde notizie su tutti i conflitti in corso.