20.11.08 – Bolzano – Yolande Mukagasana presenta «Le ferite del silenzio»

Il premio Langer 2004, sopravvissuta al genocidio ruandese, presenta il suo libro «LE FERITE DEL SILENZIO». Prossima iniziativa del Centro Pace e della Fondazione Alexabder Langer in collaborazione con la Libera Università di Bolzano. Un incontro da non perdere data l’attualità e l’importanza di tale testimonianza che anticipa di una settimana l’incontro con un’altra donna di grande impatto mondiale, il premio Nobel Rigoberta Menchù. L’incontro con Yolande Mukagasana è particolarmente attuale data l’escalation della violenza e del conflitto fra tutsi e hutu in Congo. Il 20 novembre alle ore 18 Yolande parlerà all’Università in piazza Sernesi a BOLZANO. Le ferite del silenzio è un libro drammatico ma è uno dei quei documenti che andrebbero letti e raccontati ai figli perchè spiega cosa é stato il genocidio ruandese del 1994. E come mai è esplosa una violenza così brutale.

dalla prefazione al libro “Le ferite del silenzio” edizioni La meridiana.

Nel momento in cui ho messo piede sul vecchio continente, il 15 febbraio 1995, ho capito che amavo ancora il mio paese nonostante le sofferenze patite. E ho capito che un giorno avrei fatto il lavoro di cui ho appena terminato la prima bozza: dialogare non solo con i superstiti del genocidio ruandese del 1994, ma anche con i boia. E cercare di mettere questi due dialoghi in prospettiva cioè, per quanto possibile, fare comunicare il boia con la vittima. Perché? Perché ne va della dignità del popolo ruandese. Non ci sarà riconciliazione senza giustizia, certo, ma non ce ne sarà neppure se i boia saranno demonizzati in blocco. Ciò che ho capito in questo mese di febbraio 1999 è che tra i boia, alcuni sono vittime dell’essere boia. Ed é a loro in modo particolare che dedico questo lavoro.

Tramite un’opera di ascolto paziente e a volte difficile, ho potuto penetrare il cuore dei miei interlocutori. Le testimonianze presentate nell’esposizione sono solo degli estratti di questi lunghi colloqui. Il fotografo Alain KAZINIERAKIS, con cui ho concepito il lavoro fin dall’inizio, era là per captare questi momenti di intensa emozione. Il superstite è a volte completamente distrutto in se stesso, spesso disperato, o indignato, raramente pronto a ricominciare. La giustizia resa è la condizione necessaria perché possa tracciarsi un nuovo cammino. L’artefice del genocidio a volte é totalmente arrogante, si dichiara non colpevole, é pronto, si direbbe, a ricominciare. Ma il boia a volte é sgomento a causa del gesto che ha compiuto accecato dalla manipolazione della sua coscienza e del suo dovere civico. Gli capita di piangere del suo crimine, di supplicare il perdono delle vittime. Costui non è pronto a ricominciare la vita, porta il suo crimine come un peso. Tra questo boia e la vittima, la paura reciproca può esorcizzarsi a condizione che si apra un dialogo.

Mi auguro che questo lavoro, al di là della speranza di ricostruzione di una fiducia tra Ruandesi, come complemento alla ricerca della giustizia, faccia capire a tutti il pericolo del pensiero unico, non solo prima dei genocidi ma anche dopo. Non ci sarà umanità senza perdono, non ci sarà perdono senza giustizia, ma non ci sarà neppure giustizia senza umanità. Ho voluto dare alla giustizia un abito meno sobrio della toga nera dei magistrati. Nelle prigioni ho incontrato il vero pentimento, bisogna che i Ruandesi, tutti i Ruandesi lo sappiano. E bisogna che anche l’Occidente lo sappia, questo Occidente che si intestardisce a coprirsi della sua buona coscienza, come se i Ruandesi dovessero imparare le buone lezioni di pace di un mondo che si è dilaniato in guerre e genocidi così assassini come il nostro genocidio ruandese, un mondo che si è ancora dilaniato recentemente in ex Jugoslavia, sala d’attesa dell’Europa.

(Yolande Mukagasana, marzo 1999)