E il pizzo diventava così il berrettino piuttosto che il giubbotto, il cellulare – da cui estraevano la sim card per renderlo pulito – piuttosto che qualche decina di euro. Trapela poco dell’indagine conclusasi – per quanto riguarda il Basso veronese: ma che non si esclude abbia risvolti a Brescia, Trento, Ferrara, Como e Sondrio – sulle due babygang di Bovolone e Legnago, ma il quadro è comunque sconfortante. L’atteggiamento di prevaricazione psicologica su ragazzini in età scolare, in nome della superiorità garantita dalla prepotenza e sfociata nella violenza, arriva ad essere preoccupante se diventa un modus vivendi come quello dei 17 ragazzi individuati dai carabinieri.
Ragazzi esuberanti ma nella norma, con famiglie normali alle spalle. Niente bravate di ragazzi viziati, insomma. E non siamo nemmeno di fronte a criminali incalliti (anche se alcuni di loro avevano precedenti per rapina e istigazione all’odio razziale). Per i baby-estorsori con cappellino da baseball, bomber e testa rasata pretendere qualcosa dai più deboli era normale. Così come era normale minacciare, promettere protezione in cambio di denaro. Poco, ma in maniera costante: una volta alla settimana. Erano arrivati perfino a sfidare le vittime, un modo per far capire loro che era meglio non fiatare, non dire, continuare a subire i «piccoli» furti. Una sorta di regolamento di conti che doveva avvenire nei pressi dell’ospedale di Legnago una sera di gennaio, e quando chi abita nelle vicinanze ha visto passare le macchine dei carabinieri a tutta velocità per «bloccare» quella che avrebbe potuto trasformarsi in una rissa non ha pensato di certo che un gruppo di giovani poco più che adolescenti stava ribadendo una sorta di «diritto», quello di spadroneggiare a danno di altri.
Le voci giravano da tempo in realtà, solo che nei tre mesi di indagini è stata la sistematicità delle richieste violente a dare il tono a quella che sembrava una semplice bravata. Il tono di un fenomeno pericoloso perchè diffuso, esercitato quasi alla luce del sole perchè la paura di venire scoperti era talmente lontana da spingere gli estorsori a osare: «State attenti che se parlate sappiamo dove state e vi veniamo a trovare». Già, chi parla è un infame e va punito.
Ma a partire dall’episodio di piazza Bra, quando due ragazzini della Bassa vennero avvicinati e rapinati da altri coetanei e fino a gennaio qualcosa era iniziato a trapelare, perchè le vittime tornavano a casa senza telefonino, senza giubbotto, uno addirittura senza scarpe. Brutto da dire ma nelle grandi città queste cose possono essere considerate all’ordine del giorno, in un paese no. Prima o poi si viene a sapere se qualcosa non va, ma non vuol dire che poi alla conoscenza segua un’azione deterrente perchè un conto è dire ai genitori di essere stato rapinato da un coetaneo un conto è raccontarlo ai carabinieri.
Un’indagine blindata per l’età delle vittime e per quella degli estorsori che poi più o meno è la stessa a parte un caso, quello dell’unico maggiorenne invischiato in questa storia, uno di quelli che viene da fuori e che rappresenterebbe il punto di riferimento, quello chiamato «il milanese». Blindata inoltre per la difficoltà di movimento, per la diffidenza e l’omertà delle vittime che temevano rappresaglie. Conquistare la fiducia di chi si sente oppresso non è semplice ma le voci girano, le modalità stesse delle «richieste» non erano segrete, i ragazzini venivano avvicinati fuori dalle sale giochi e dai pub, dalle birrerie piuttosto che in discoteca. E anche i soprusi venivano fatti «pubblicamente», forse perchè dovevano servire da esempio, forse perchè così si garantivano una sorta di impunità: in una sera fuori da un bar della Bassa ne hanno rapinati 8. Ma il muro si è incrinato, per cinque il provvedimento è pesante: obbligo di permanenza in casa o in comunità. Per gli altri una denuncia per associazione a delinquere a scopo di estorsione. Pesante comunque. Non sono ancora maggiorenni.
da “L’Arena” Domenica 10 Febbraio 2002