La prima delle nove inaugurazioni che nel mese di aprile animeranno Verona con la collettiva «A Memoria d’Arte», dedicata al 25 aprile 1945 e alla Memoria vedrà esposti, mercoledì 8 aprile presso l’Osteria ai Preti (ore 18.30), i lavori di sei artisti alle prese con tecniche diverse, per declinare i temi della memoria e della liberazione, della resistenza, della libertà e della democrazia.
Sandro Cappelletti partecipa con due quadri figurativi che attraverso scelte cromatiche simboliche illustrano il dramma degli anni dello sterminio nazi-fascista, ispirati anche dalla presentazione dell’iniziativa scritta dal padrino della manifestazione Vittore Bocchetta, scultore, pittore e umanista partigiano. In uno dei due lavori, ad esempio, il cielo giallo indica la follia scatenatasi durante “gli anni della più assoluta ingiustizia” e il disprezzo per la sessualità degli omosessuali, resi riconoscibili dai triangoli rosa.
Nato a Catania nel 1959, Cappelletti risiede a Verona dal 1974. A Verona ha seguito il corso di pittura dell’Accademia di Belle Arti, sotto la guida del professore Aldo Tavella e si è perfezionato, frequentando i corsi di pittura del Centro di Cultura “G. Toniolo”, sotto la guida del professore Umberto G. Tessari e partecipando al gruppo “Amici dell’arte N. Nardi”.
Cristina Fornari propone un dittico il cui tema conduttore è la città, vista prima e dopo il 25 aprile. La prima tavola rappresenta la città velata di grigio, segno di tristezza e desolazione; la seconda una città piena di colore, segno di rinascita alla vita. Entrambi i lavori sono eseguiti con tecnica mista, realizzati principalmente utilizzando colori acrilici e gesso, su carta incollata su pannelli di legno e verniciata.
I lavori di Cristina Fornari spesso racchiudono un mondo fantastico, immagini semplici e poetiche capaci di vivacizzare la quotidianità, caratterizzate da una continua ricerca cromatica che rende paesaggi e figure lontani dalla realtà. ”Veri e propri sogni colorati che -dice l’artista- sento di dover dipingere”. Opere semplici, in grado di mettere d’accordo grandi e piccini.
Elena De Ghantuz Cubbe presenta un’opera a forma di scatola, mix tra collage di giornali e ceramica, dove campeggia un fiore rosso a simboleggiare la Memoria, un fiore da coltivare e proteggere.
Artista romana, residente a Verona da oltre quaranta anni, Elena ha nel sangue un mix abbastanza insolito: un nonno siriano e una nonna tedesca nel ramo paterno e un’intera generazione di romani doc in quella materna. Quando crea Elena libera quella parte bambina svincolata da pregiudizi ed aperta a recepire senza filtri le cose del mondo, mettendo da parte le mille sovrastrutture con cui la complessa civiltà occidentale costringe a fare i conti.
Tanja Mastroiacovo propone un’opera che si sofferma sulla Liberazione come caduta dell’oppressione, con l’avvento dirompente della Libertà. Un velo nero viene stracciato e accantonato nella parte inferiore della composizione, si contrappone allo spazio “liberato” dove compaiono i colori, che senza passare attraverso forme rappresentative comunicano per mezzo della percezione e dell’impatto visivo. “I colori e le forme astratte generano impressioni soggettive, così come la liberazione può essere intesa in modi differenti” spiega Tania. Una parte del sipario nero mantiene però incombente la sua presenza nello spazio, celando parte di queste libertà, così come accade nella realtà.
Le opere di Tania sono spesso e volentieri figlie della fantasia e dell’immaginazione che danno luogo a composizioni dove svariate immagini, ricordi e idee prendono forma e convivono in un unica istantanea, animata da colori squillanti e riproduzioni realistiche, un mix di razionalità e invenzione, “legate nello spazio da relazioni nascoste”, spiega l’artista.
Antonella Brescia propone un suo lavoro Batik, che rielabora l’antica arte indonesiana per la decorazione dei tessuti (batik in indonesiano significa “scrivere sulla cera”) basata sulla “tecnica a riserva” che consiste nella copertura di zone definite di tessuto con cera calda al fine di renderle impermeabili al colore. Il motivo decorativo è dunque ottenuto non tanto lavorando con i colori sul tessuto ma nel tessuto. Dall’Albania a Verona, attraverso la Basilicata e la Puglia, tracce di cera inseguono ed avvolgono i percorsi della Brescia. Ruvidi e caldi come i suoni della lingua arbresh. Caldi come la cera. Ruvidi come i tessuti che se ne impregnano.
Facchin Ruggero, pittore veronese classe 1974, diplomatosi in pittura nel 1998 dopo aver frequentato l’Accademia di Belle Arti di Venezia e di Madrid, propone una delle sue ultime creazioni. Facchin è un artista per cui ogni mezzo espressivo, si tratti di pittura, disegno, collage, video, fotografia e o altro, è funzionale a “interpretare quello che ci sta intorno e dentro e a dare una propria visione attraverso un linguaggio, un proprio linguaggio”. “Se il linguaggio funziona – prosegue Facchin- si può aggiungere la didascalia. Facoltativa”. Perché per lui, “tutta la pittura è concettuale; e al contempo figurativa e astratta, una forma di pensiero e un metodo attraverso cui conoscere meglio le cose”.
Info: 340 2903991 – [email protected] – www.circolopink.it/memoriarte.htm