Giovedì 10 aprile 2008, alle ore 15 a Trento nell’Aula 17 dell’IPSSCT Battisti (Via Mattioli 8) il Centro Studi sulla Storia dell’Europa Orientale organizza l’incontro La Polonia del Novecento. Le arti visive. Fra esperimento e rappresentazione. Interviene Fernando Orlandi. Se prendiamo in mano una storia dell’arte europea nel Novecento, cosa troviamo per la parte orientale del nostro continente? Quasi nulla. Verrebbe da pensare che in una bella parte dell’Europa l’arte moderna non sia esistita. Eppure, tanto per fare un esempio, il cubismo nasce e si struttura non solo a Parigi, ma anche a Praga. Per gli artisti cechi, l’adozione del Cubismo è una scelta autonoma. E la loro ricerca si muove in parallelo all’evoluzione del Cubismo francese, ma con risultati ed esiti diversi. Anche perché per i cechi il Cubismo costituisce una ricerca globale nella quale architettura, pittura, scultura e arti applicate godono dello stesso rango e statuto. Questo movimento introduce un altro modo di percepire, di pensare, di costruire un diverso quadro di vita. Per la sua visione estetica, il Cubismo ha rivestito un ruolo precursore di sintesi delle arti la cui idea fu illustrata succesivamente dal Bauhaus in Germania o da Devetsil in Cecoslovacchia. Tutta l’Europa centro-orientale è stata investita ed ha subito l’influenza del Simbolismo e scoperto il mondo di Gauguin e di Cézanne. In Ungheria il segno maggiore all’inizio del Novecento è lasciato dai Fauve, e il “nuovo stile” si diffonde come una epidemia. La Prima guerra mondiale mette bruscamente termine al carattere internazionale della vita artistica e letteraria. I viaggi all’estero diventano pressoché impossibili, i contatti fra nazioni si interrompono, lo scambio di informazioni e pubblicazioni diventa aleatorio. A dispetto di queste circostanze, in Boemia, Ungheria e Polonia (che non ha ancora ritrovato la propria statualità), sorgono raggruppamenti di avanguardia. L’Attivismo si propaga in Ungheria dalla Polonia (grazie al pittore Kurt Hiller). In Boemia sorgono gli Ostinati e in Polonia i Formisti. Il Formismo si organizza poco a poco. Con questo termine si indica il gruppo di artisti (dagli stili peraltro diversi) uniti nella loro ricerca di modernità e forma pura. La loro prima esposizione si tiene nel novembre 1917, nello stesso momento in cui la rivista Ma organizza a Budapest la sua prima mostra, quella di Mattis-Teutsh. Nel 1917 sia i Formisti che Mattis-Teutsh trovano ispirazione negli Espressionisti.
Negli anni seguenti gli ungheresi evolvono verso una espressione più semplice, uno stile dall’effetto monumentale e dinamico. I Formisti, a loro volta, intendono distinguersi dagli artisti di Poznan (legati agli Espressionisti tedeschi). Prendono ufficialmente il nome di Formisti nel 1919 (proprio quando gli ungheresi si chiamano Attivisti). La teoria era stata enunciata nel 1918 da Zbigniew Pronaszko e dal 1919 pubblicano una loro rivista, diretta da Tytus Czyzewski e Leon Chwistek. I polacchi sono sensibili alle esigenze della forma, gli ungheresi sono invece molto attivi politicamente. I Formisti danno ampio spazio alla poesia (in particolare quella Futurista), perché Czyzewski era anche poeta. Il legame con il Futurismo non dura a lungo. All’epoca della guerra russo-polacca il sentimento di identità nazionale assume una dimensione assoluta. In questo contesto, il comportamento antinazionalista e provocatorio dei Futuristi polacchi viene condannato dagli intellettuali e i Formisti imboccano un percorso diverso. Fra le personalità legate al gruppo, Stanislaw Ignacy Witkiewicz, Czyzewski e Chwistek lasceranno vaste tracce nella vita culturale della Polonia.
Witkiewicz è una personalità unica nella cultura polacca e in quella europea tra le due guerre. Drammaturgo, poeta, narratore, pittore, fotografo, teorico d’arte, e infine acuto ed eccentrico filosofo.
Figlio d’arte, precoce e brillante, nel 1904 si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Cracovia. Viaggia molto, rasentando pure l’avventura: nel 1914 accompagna come pittore, fotografo e segretario il celebre antropologo Bronislaw Malinowski nella sua spedizione in Oceania.
Durante la prima guerra mondiale è ufficiale zarista in Russia (era nato a Varsavia, allora sotto il dominio russo). Dopo la rivoluzione d’ottobre è trasferito a S. Pietroburgo dove inizia studi filosofici e, pur non essendo comunista, svolge la funzione di “commissario politico” del proprio reparto. Questo periodo russo ha ha un’importanza fondamentale nello sviluppo del suo pensiero: prendono forma compiuta le sue idee filosofiche, segnate dall’impressione lasciata dalle vicende belliche, e inizia a comporre il suo principale scritto di estetica (Nuove forme nella pittura, 1919) nel quale elabora la concezione della “forma pura” nell’arte.
Witkiewicz fu un critico radicale della società borghese e delle forme di esistenza sociale generate dal sistema capitalistico, che temeva avrebbero portato ad una completa disumanizzazione della vita sociale e ad un crescente totalitarizzazione, col conseguente annichilimento della personalità individuale. Paradossale ed ironico demistificatore della morale borghese; fustigatore della incombente società di massa che vedeva avanzare in maniera irreversibile ad Occidente come ad Oriente, sotto le ipocrisie del sistema democratico, come dietro le bandiere delle masse proletarie; spettatore tragicamente consapevole del progressivo deperimento dei valori autentici, legati alla personalità individuale e creativa dell’uomo, in favore dei beni che sempre più si affermano nella vita sociale, legati alla felicità, all’utile, alla soddisfazione materiale, effettuò con la sua filosofia della storia una diagnosi catastrofista della realtà contemporanea.
Nel nazismo ad Occidente e nel bolscevismo ad Oriente vedeva una minaccia mortale alla cultura e alla civiltà d’Europa, sicché quando le truppe sovietiche, in seguito al patto Molotov-Ribbentrop, invasero il territorio polacco, si suicidò, il 18 settembre 1939.